Masaniello e Garibaldi 2

Masaniello e Garibaldi 2

Bisnonni comunisti infiltrati fra i Mille

Garibaldi e garibaldesi accolti in Sicilia con cannoli e buon marsala
e bastava dire “Viva l’Italia” che i delinquenti venivano liberati
di Vincenzo Giardino ©
[ parte seconda ]

Quando Garibaldi si presentò a Mazzini e a Cavour non fece una buona impressione, oltre a essere brutto, era corto, vestito da messicano, con la barba lunga e i capelli che gli arrivavano sulle spalle, sembrava un mendicante di via Toledo a Napoli. Per giunta camminava mezzo storto perché, a forza di dormire all’aperto, aveva pure preso i reumatismi. Mazzini e Cavour si lanciarono un’occhiata, si scusarono con l’ospite e si appartarono per consultarsi.

«Ma dove lo mandiamo a questo? Ma lo hai visto?» disse Cavour a Mazzini. Quest’ultimo rispose: «Hai ragione, sai che facciamo? Ritorniamo in Inghilterra e gli diciamo che non si fa più niente; se questo lo presento ai miei patrioti quelli mi mangiano vivo!».

Ritornarono al cospetto dei Lords e alla presenza della regina Vittoria, la quale, come la Merkel, sapeva sempre trovare una soluzione e si faceva rispettare. Infatti, ella espresse per prima l’idea e sentenziò rivolgendosi a Cavour e Mazzini: «Spargete la voce che questo Garibaldi è stato un eroe che combatteva contro i popoli oppressi del Sud America…». Mazzini inebetito interruppe: «Maestà, ma quello in Sud America faceva rapine, violentava le donne e ci hanno detto che faceva pure il traffico di schiavi cinesi!».

La regina stizzita: «Mazzì, fammi parlare e non dire stronzate; chi glielo deve raccontare tutto questo agli italiani? Quando tornate in Italia, corrompete un poco di giornalisti e fate fare una bella campagna di stampa nella quale lo definite eroe dei Due Mondi per guadagnare la simpatia del popolo. Lo nominate generale per guadagnare la simpatia dei borghesi e lo nominate maestro della massoneria per guadagnarsi le simpatie di quei debosciati di aristocratici. Lo vestite con una camicia rossa che fa tanto naif e gli fate fare tanti quadri che lo mostrano bello, aitante, a cavallo, con la spada in mano!». Insomma, un’operazione di marketing, copiata da Berlusconi più di un secolo dopo.

Quando Cavour e Mazzini ritornarono in Italia misero in atto i consigli della regina Vittoria e in pochissimo tempo, nonostante che la televisione non esisteva ancora, si sparse la voce in tutta Italia che questo Garibaldi era un eroe, che avrebbe liberato il popolo oppresso e… il popolo ci credette, come oggi crede a Renzi che abbassa le tasse e crea più posti di lavoro.

I contadini meridionali dell’epoca, si “ammuccarono” che Garibaldi gli avrebbe fatto prendere le terre e che tutti quanti potevano diventare liberi e padroni!

Qualche borghese e qualche aristocratico preoccupato dalle dicerie volle dei chiarimenti da Cavour e più di uno gli chiese: «Sentite conte Cavour, ma non è che facciamo che questa Italia unita diventa comunista e che ci levate soldi e privilegi?». Cavour rideva e rispondeva: «Fratelli, non vi preoccupate; attualmente queste idee servono per fottere il popolo e usarlo per la guerra; fate fare a me, voi statevi solo accorti ai vostri figli che non si facciano montare la testa da queste idee momentanee».

Arrivò il giorno di organizzare l’operazione nei dettagli e pensare come vincere l’esercito borbonico che era numeroso e ben armato. Al ragioniere Cavour gli venne un’idea; aveva sentito parlare di un generale borbonico che si chiamava Pianell, il quale risultava essere un poco avido sia di soldi che di potere e che, con un poco di denaro in anticipo, lo potevano corrompere promettendogli incarichi nel nuovo governo. Proprio… uguale a come ha fatto Berlusconi che si comprava deputati e senatori.

Pianell fu avvicinato da amici degli amici che gli fecero la proposta. Essendo un uomo pratico, raggiunse subito l’accordo e non solo si mise a disposizioni per tradire il re Borbone, ma si diede una mossa per trovare altri ufficiali fetenti pronti a tradire per soldi e future cariche pubbliche. Ormai, dopo che il fedelissimo Carlo Filangieri fu messo a riposo, l’esercito borbonico restò in mano agli ufficiali traditori. Carlo Filangieri fu fedele al re Borbone, nonostante in passato avesse appoggiato, quando ricopriva cariche di governo, l’idea di un’alleanza con il Piemonte e la Francia.

Per completare il quadro della situazione, bisogna ricordare che al trono del regno borbonico si era appena seduto (1859) Francesco II, il povero “Franceschiello” che poteva fare più il prete che il re e, nonostante che la moglie Maria Sofia avesse più “palle” di lui, non le fu consentito di prendere in mano la situazione. Povera Maria Sofia! Che bella donna che era! Ai giorni nostri, con un marito così, avrebbe divorziato subito subito; ma si dovette accontentare solo di fargli le corna! In quel periodo il regno borbonico era in mano a una massa di fetentoni traditori e ognuno di loro pensava ai “casi” suoi.

Garibaldi riuscì, facendo una grande campagna acquisti, a mettere assieme un migliaio di scalmanati di tutte le risme. Tra questi anche scrittori conosciuti come Alessandro Dumas e Ippolito Nievo (quest’ultimo scomparì misteriosamente nel 1861 durante il viaggio di ritorno su un’imbarcazione sulla rotta Palermo-Napoli, forse perché aveva scoperto che la spedizione dei Mille fu finanziata dagli inglesi, protagonisti del complotto internazionale contro i Borbone). Tutti indossavano la camicia rossa per confondersi con i comunisti che sarebbero arrivati in Italia anni dopo. Qualcuno ha malignato che tra questi comunisti travestiti ci fossero pure i bis-nonni di D’Alema e Veltroni, ma noi popolani prendiamo le distanze da questi pettegolezzi!

Quando tutti questi Mille arrivarono a Quarto fu un bel problema incatastarli dentro i barconi ma, dato che Garibaldi aveva avuto esperienza con gli schiavi cinesi, riuscì a farceli entrare tutti quanti.

Prima di partire a Garibaldi venne un dubbio e rivolgendosi a Cavour e Mazzini, che erano sul molo per salutarlo, chiese: «Ma voi siete sicuri che quando arriviamo a Marsala non ci prendono a cannonate?». Rispose Cavour, sicuro del fatto suo: «Giuseppe non preoccuparti; sarete scortati da due o tre brigantini della flotta inglese; se succede qualcosa risponderanno coi loro cannoni a chi vi attaccherà e poi… abbiamo pagato molto bene Pianell che ci ha garantito che l’esercito non sparerà neanche un colpo».

Alcuni fetenti della massoneria italiana, per essere più sicuri che l’impresa riuscisse, si accordarono in Sicilia con la “mafia” e a Napoli con la “camorra”; in Calabria la “‘’ndrangheta” non era ancora così potente da essere tenuta in considerazione e in Puglia non avevano ancora inventato la “sacra corona unita”. Da quel momento e per qualche decennio a venire, gli “uomini d’onore” durante i processi, si dichiaravano patrioti e gridavano “viva l’Italia” e i giudici che dovevano fare? Si commuovevano e li assolvevano! Successivamente, per farsi assolvere, avrebbero gridato abbasso i comunisti. Berlusconi durante i processi si dichiarava sempre anticomunista fino a quando qualcuno non lo informò: «Cavaliè, i comunisti non esistono più; sono rimasti seppelliti sotto le macerie del Muro di Berlino».

Garibaldi arrivò a Marsala accolto dai picciotti con la solita proverbiale ospitalità siciliana; già avevano preparato degli enormi tavoloni con tante prelibatezze: pasta al forno, parmigiana, castrato di agnello, cannoli e cassate; il tutto innaffiato con del buon Passito di Pantelleria e dello Zibibbo genuino. Tra un bicchiere e un boccone i picciotti si presero la libertà di chiamare amichevolmente Pippo il già famoso generale.

Quando erano quasi a fine pasto, Garibaldi si ricordò che era andato in Sicilia per combattere i Borboni e alzandosi di scatto (si dice per dire, perché con i reumatismi che aveva non poteva fare movimenti bruschi) stava per raccogliere i suoi uomini per andare a combattere, ma i picciotti gli dissero di stare tranquillo perché ci avevano già pensato loro a fare quello che si doveva fare. Qualcuno di quei picciotti, sorridendo gli chiese a chi avrebbe dovuto sparare se quasi tutti i soldati dell’esercito borbonico si erano tolti la divisa e stavano banchettando assieme a loro in quel momento.

Per la verità Garibaldi se la prese un po’ a male perché si era talmente calato nella parte dell’eroe che ci credeva pure lui! «Che diavolo! – pensava – almeno una piccola battaglia la devo fare, sennò che cacchio scriveranno gli storici?». Allora, per farlo contento gli prepararono prima una battaglia a Calatafimi e successivamente un’altra a Milazzo che, manco a dirlo, le vinse tutte e due nonostante la superiorità numerica del nemico e… ovviamente per l’infedeltà di molti ufficiali borbonici. Dopo qualche mese di soggiorno a Palermo, Garibaldi fu informato che stava arrivando l’esercito piemontese a presidiare la Sicilia Occidentale e che lui si doveva preparare per conquistare il resto del Sud Italia.
[ … continua … ]

Il “fattariello” dell’unità d’Italia – Parte prima
Bisnonni comunisti infiltrati fra i Mille – Parte seconda
I garibaldesi non conoscono il bidet – Parte terza

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