Masaniello e Garibaldi 1

Masaniello e Garibaldi 1

Se Garibaldi non avesse vinto,
oggi mangeremmo la pizza Carolina

Il “fattariello” dell’unità d’Italia

di Vincenzo Giardino ©
[ parte prima ]

La storia viene scritta da studiosi che si documentano dagli archivi e da libri antichi. Quello che viene scritto da costoro diventa spesso inoppugnabile; viene diffuso attraverso i testi scolastici e universitari o libri per gli appassionati della materia. Roba seria!

Poi esistono i “fattarielli”, quelli che si tramandano attraverso le generazioni, raccontati dai nonni dei nonni fino ad arrivare ai nipoti. Questa è storia popolare alla quale non viene dato peso anche se quelli istruiti dicono è “vox populi vox dei” cioè, in poche parole, “quello che dice la gente è sacrosanto”.

Noi, Popolo del Sud, vogliamo raccontare il “fattariello” dell’unità d’Italia con linguaggio semplice e un poco ignorante, forse anche con qualche bugia ma da un altro punto di vista, il nostro. Invitiamo il lettore a scegliere quale verità accettare: quella del “fattariello” o quella della storia che ci hanno impacchettato ad arte nei banchi di scuola! Tanto che differenza fa se il popolo racconta qualche bugia per smentire le bugie dei potenti? Ormai l’Italia è una e indivisibile anche se la Lega Nord si illude ancora di poterla dividere.

Se Garibaldi avesse fatto fiasco nella sua impresa dei Mille, la storia l’avrebbero scritta i Borbone! Si sa che la storia la scrivono i vincitori, i “fattarielli” li raccontano i vinti!

Se così fosse stato, nel Sud non avremmo avuto tutte ‘ste piazze “Garibaldi” ma piazze dedicate ai nomi della dinastia Borbonica e, cosa ancora più esaltante, la pizza non si sarebbe dovuta chiamata “Margherita”, in onore della moglie di Umberto I di Savoia, ma l’avremmo dovuta chiamata pizza “Carolina”, in onore della moglie di Ferdinando I, che oltre a essere una bella femmina è stata più regina di tutte le regine dei Savoia! Chissà se non ci ha già pensato qualche pizzaiolo napoletano.

Ora raccontiamo il “fattariello”.

Tutto cominciò con l’invidia degli inglesi dell’Ottocento. Sì, sì, proprio gli inglesi, i bisnonni degli inglesi di oggi che si sono rifiutati di entrare nella moneta unica… e mica so’ fessi? Loro hanno sempre voluto comandare, figuriamoci se accettavano di farsi comandare dalla Merkel come abbiamo accettato noi italiani! Comunque, ritorniamo al “fattariello”.

Però, prima voglio dire due parole sul popolo inglese: a noi del Sud Italia, hanno fatto sempre un poco pena! Ma, insomma, parliamoci chiaro, un popolo isolato che poche volte l’anno vede un sole pallido senza colore né calore, che da secoli vive immerso nella nebbia, che cosa avrebbe dovuto fare se non andare a conquistare altri popoli di terre più assolate?

Pensate che, per farlo meglio, nell’Ottocento hanno inventato un sistema che poi hanno copiato gli americani: l’imperialismo. Anche Putin vorrebbe imitarlo, ma non ci riesce perché ha un brutto carattere e vuole sempre vincere lui! Detto papale papale, l’imperialismo è quella forma di controllo “democratico” di uno stato più forte su uno più debole che, con la scusa di dargli una mano a riformare il loro governo, si fa gli affari suoi. Un poco come hanno fatto gli americani con noi italiani dopo la seconda guerra mondiale!

In Europa l’imperialismo lo fa la Germania con la scusa dell’Europa Unita; però l’America vuole fare l’imperialismo sull’Europa con la scusa di difenderla dall’Isis. Mammamia che casino! Ognuno trova una scusa a “fin di bene” per fottere gli altri.

Ritornando all’invidia degli inglesi dell’Ottocento nei confronti del Regno delle Due Sicilie, beh, intanto in tutto il regno si mangiava bene, c’era l’aria buona, le belle donne abbondavano rispetto all’Inghilterra che ha sempre avuto femmine emaciate e graciline e poi… non ci crederete… ai quei tempi nel Sud Italia c’erano tanti, tanti soldi.

Il Regno Borbonico era uno dei più ricchi d’Europa. Napoli era la capitale della moda maschile, i nostri aristocratici erano colti e raffinati e nel regno si contavano più di 5000 industrie di tutti i generi. Gli inglesi tutto questo lo sapevano perché frequentavano e facevano affari dalle nostre parti; lo sapevano fin dai tempi in cui i due regni erano alleati.

In quel periodo, quel fetentone dell’ammiraglio Nelson frequentava la corte Borbonica, si abbuffava come un maiale e si spupazzava qualche aristocratica napoletana; l’ospitalità nei suoi confronti fu tanta, al punto di regalargli pure un castello in Sicilia, nonostante avesse fatto impiccare il povero ammiraglio Caracciolo che gli inciuci di Palazzo avevano fatto credere che fosse un traditore.

Ritornando al “fattariello”, a un certo punto gli inglesi cominciarono a scervellarsi su come conquistare il Regno delle Due Sicilie e pensarono: «Non possiamo fargli la guerra perché questi sono amici dello Stato Pontificio, dello Zar di Russia, dell’Austria e di chissà di quale altro stato. No, no. Non possiamo fargli la guerra sennò la perdiamo».

Dopo varie consultazioni tra i Lords e la regina Vittoria (che era un poco come la Merkel) fecero una bella pensata: inculcare nel popolo di tutta la penisola italica l’idea dell’Italia Unita attraverso la massoneria inglese e francese. Ma chi avrebbe dovuto abbracciarsi la croce di questa impresa sul territorio Italico? In primis, un certo Giuseppe Mazzini, un idealista che voleva un’Italia repubblicana (giocava con troppo anticipo) e che già parlava di Europa Unita. «Vabbuò» – pensarono i Lords e la regina Vittoria – «chist’ è pazzo, ma noi prima lo usiamo e poi lo licenziamo». Insomma… “o repubblican” usa e getta.

E ancora: «A chi ci mettiamo a fare il re dopo che abbiamo unito l’Italia?». Subito rispose la regina Vittoria che conosceva bene tutti i regnanti d’Europa: «A chi ci volete mettere? Quel poveraccio di Vittorio Emanuele II di Savoia che è sempre inguaiato di debiti e pure a me deve dare soldi».

Uno dei Lord presenti alla discussione, che conosceva la levatura culturale e aristocratica dei Borboni, obiettò: «Ma scusate, Maestà, Voi volete far prendere la corona d’Italia a quel pezzente ignorantone e sostituirlo con il re Borbone? Ma vi rendete conto?».

La regina Vittoria replicò: «Proprio per questo è l’ideale! Tanto gli italiani ubbidiranno a chi porterà la corona». Uguale come oggi anche se al posto della corona c’è l’auto ministeriale e la scorta. La riunione terminò e tutti i presenti si misero in movimento per realizzare il piano concordato.

Mazzini avrebbe dovuto prendere accordi con i Savoia ma, dato che come sappiamo il Re Savoia era un poco ottuso, tutti furono d’accordo che il mediatore lo facesse un conte che faceva da ragioniere al re (un poco come Tremonti era per Berlusconi). Questo conte si chiamava Camillo Benso di Cavour. Camillo Benso e Giuseppe Mazzini si incontrarono e cominciarono a dialogare sul come, sul cosa e sul chi.

Mazzini disse che bisognava impugnare le armi per combattere l’esercito borbonico, Camillo Benso mise subito le mani avanti perché era un ragioniere e non poteva fare la guerra, Mazzini a sua volta incalzò che neppure lui poteva farla perché era un intellettuale. Come nella nostra epoca, anche allora, tutti gli intellettuali e i politici parlavano e pensavano, pensavano e parlavano ma fatti non ne facevano!

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p style=”text-align: justify;”>Quindi, assieme andarono a chiedere consulto ai Lords massoni per esporre il problema. Uno di questi Lords prese la parola e disse: «Amici». No, no. Disse: «Fratelli (perché era massone), io conosco uno di Nizza, un certo Giuseppe Garibaldi, attualmente fa il killer in Sud America e qualche volta fa lo scafista con il traffico degli immigrati cinesi, insomma uno senza scrupoli, ma che se lo paghiamo bene può formare una banda e andare avanti per cominciare la guerra contro i Borbone. Poi, se lui ce la fa, voi gli mandate subito l’esercito piemontese. Se non ce la fa, saranno cacchi suoi. Noi non ci sporcheremo le mani e non faremo una figura di merda mondiale».

Tutti furono d’accordo a convocare a Torino Giuseppe Garibaldi per mettere in atto il piano. Per cercarlo, mandarono un funzionario piemontese che lo trovò in un villaggio dell’Uruguay mentre tentava di violentare una ragazza, la quale, per difendersi gli diede un morso sull’orecchio e glielo staccò, lasciandolo in bianco e sanguinante. Il funzionario piemontese disperato gli disse: «Garibà, ma come ti porto a Torino senza un orecchio?». Lui rispose con guapparia: «Fratè, non ti preoccupare che mentre viaggiamo mi crescono i capelli e si copre tutto».

Tra il viaggio di andata, tra il trovarlo, tra il mettersi d’accordo sullo stipendio e arrivare a Torino, passarono circa quattro mesi e a Garibaldi, oltre ai capelli, era cresciuta anche la barba, rossa come i capelli. Mammamia com’era brutto!   
[ … continua … ]

Il “fattariello” dell’unità d’Italia – Parte prima
Bisnonni comunisti infiltrati fra i Mille – Parte seconda
I garibaldesi non conoscono il bidet – Parte terza

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