Toglieteci tutto, ma non il pane. La Sicilia del 1646

Toglieteci tutto, ma non il pane. La Sicilia del 1646
Nell’entroterra siciliano da millenni si produce grano duro
particolarmente adatto per la produzione di pasta e pane

Toglieteci tutto, ma non il pane.
La Sicilia del 1646

A scatenare i tumulti del 1646 fu la decisione di ridurre in Sicilia il peso del pane. Nessuno poteva venderlo né cuocerlo (nemmeno per uso personale) se fosse stato maggiore del peso stabilito per legge. La popolazione furiosa prese della legna e diede fuoco alla casa di un senatore che si pensò essere stato l’autore della legge sul peso del pane.

di Angelo Severino ©
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Diodoro Siculo credeva e scriveva che in Sicilia il frumento fosse sempre esistito come pianta spontanea e che Demétra avesse insegnato a seminarlo per un uso domestico. Aristotile, invece, sosteneva che la dea avesse portato nell’Isola il seme dalla Grecia e che avesse quindi dato istruzioni su come coltivarlo.

[ Demétra, la dea del grano clicca qui ]

O che avesse ragione Diodoro Siculo (forse un po’ per campanilismo essendo nato ad Agira, nell’entroterra siciliano dove da millenni si produce grano duro) o Aristotele (forse anche lui un po’ per patriottismo essendo un filosofo greco) una cosa è sicura e cioè che gli antichi abitanti di Trinacria (Sicani e Siculi) hanno da sempre ottenuto dai loro terreni soleggiati la migliore qualità in assoluto di chicchi di grano duro che, tra l’altro, è particolarmente adatto per la produzione di pasta che non scuoce ma rimane sempre al dente.

La Sicilia “granaio d’Italia” e “vacca pregiata”

Che il frumento siciliano fosse stato una ricchezza per la Sicilia è un fatto acclarato da ogni letteratura, antica e moderna, tanto che gli antichi Romani la chiamarono “il granaio d’Italia”, “il granaio del Grande Impero”. Ciò che a quel tempo la Sicilia rappresentasse veramente agli occhi del padrone romano lo descrive meglio Cicerone facendo altresì intendere che l’Isola era diventata una specie di “nutrice del Popolo Romano”. L’eccellente grano prodotto nell’Isola veniva sottratto alla popolazione siciliana e trasportato a Roma per impinzare i magazzini romani.

Insomma, come giustamente qualche cronista storico dell’epoca scrisse, la Sicilia “veniva considerata come una vacca che, tanto è più pregiata quanto più abbondante è il latte che scende dalle sue mammelle”. Nei secoli successivi le cose sembrarono migliorare e in Sicilia si produceva parecchio grano. Nell’Isola ne rimaneva una quantità tale che soddisfaceva il consumo siciliano e l’eccedente veniva caricato su navi e venduto altrove.

Ma l’anno 1646 fu l’anno della grande carestia. A causa delle poche piogge, le spighe non maturarono come dovevano e la raccolta fu molto misera. Chi soffrì di più fu il territorio di Messina dove non si falciò nulla e la popolazione fu costretta a comprare il grano altrove e a prezzo molto caro. Il Senato messinese allora prese una decisione molto drastica che suscitò la sollevazione degli abitanti. Si decretò la riduzione del peso del pane. Nessuno poteva venderlo né cuocerlo (nemmeno per uso personale) se fosse stato maggiore del peso stabilito per legge.

Tumulti per il pane in Sicilia

“Toglieteci tutto, ma non il pane”. I tumulti del 1646

A Messina accadde ciò che è sempre stato, che è e che sarà. La popolazione generalmente è disposta ad accettare qualsiasi sacrificio e tassazione ma non è disposta minimamente a subire aumenti o balzelli su generi di prima necessità. Come il pane, appunto. Ma la cosa più grave fu che il magistrato incaricò il capo annonario (una specie di comandante dell’attuale Polizia Locale) a controllare anche casa per casa utilizzando la sorpresa e perfino eventuali spie di vicinato.

Una donna, furibonda per il rimpicciolimento del pane, prese una canna, le legò una pagnottina e con essa incitava la folla a ribellarsi. Pian piano si aggiunsero altre persone fino a divenire una moltitudine inferocita. Si prese della legna e si diede fuoco alla casa di un senatore che si pensò essere l’autore della legge sul peso del pane. Partì da Palermo il viceré marchese De Los Veles e questo permise di riportare la calma, di individuare gli autori del tumulto e di fare giustizia facendoli impiccare pubblicamente.

Ma altri disordini per la mancanza di grano scoppiarono a Palermo, Monreale, Catania e Agrigento. La crisi si risolse dopo poche settimane perché il duca di Montalto, viceré della Sardegna mandò in Sicilia parecchie navi cariche di provvidenziale frumento.

Salvatore Giuliano e “La strage del pane” a Palermo nel 1944

Che la Sicilia è stata considerata come una vacca che, tanto è più pregiata quanto più abbondante è il latte che scende dalle sue mammelle, lo vedremo anche agli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso nel momento in cui il 2 settembre del 1943 a Salvatore Giuliano gli furono sequestrati, per contrabbando, due sacche di 40 chili di grano ciascuna. Giuliano aveva attivato un piccolo mulino con cui otteneva farina che poi regalava alla gente del suo paese.

Le autorità italiane dell’epoca, per contrastare la crisi, avevano ordinato di ammassare il frumento obbligando i contadini a privarsi del loro legittimo raccolto e a lesinare il grano con le tessere. Così, come accadeva durante il periodo dell’Impero Romano, anche allora la Sicilia forniva il frumento agli italiani che lo sottraevano ai legittimi proprietari.

Infine, sempre in quegli anni, il 19 ottobre 1944, a Palermo, nella centralissima Via Maqueda, si verificò una carneficina meglio conosciuta come “La strage del Pane”. I soldati italiani spararono e lanciarono bombe a mano su cittadini siciliani disarmati che chiedevano soltanto pane, giustizia, libertà, lavoro, abitazioni civili e ripristino dei servizi essenziali. Furono in 24 a essere uccisi e in 158 a rimanere feriti.

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